“Solo et pensoso” del XXI secolo, socio antropologia poetica del nostro tempo di Bartolomeo Di Giovanni
Posando ancora una volta gli occhi sul sonetto Solo et pensoso... di Francesco Petrarca (1304-1374), non si può non cogitare sul più importante aspetto della vita, anzi sulla vita stessa: l’Amore. A-mors come non morte, quindi vita. Il poeta immerso nel suo pensiero amoroso cerca luoghi solitari dove non c’è possibilità di essere visto né di essere giudicato. Ma la chiosa del sonetto esprime tutta l’essenza dell’essere umano, ovvero non c’è luogo dove ci si possa riparare dal Sentimento perché è l’uomo stesso.
L’Amore è scritto nei geni, ogni essere umano nasce col bisogno di dare e ricevere amore. Ci si deve allontanare da quelle teorie mal interpretate che considerano l’amare come un quid senza condizione. L’Amore ha delle condizioni prestabilite dalla natura, il disamore è andare contro il vento del destino: l’individuo per forza, almeno una volta nell’esistenza, deve confrontarsi con il proprio cuore.
Dopo 1534 anni dalla dipartita di Petrarca si trova attuale più che mai il significato di questo sonetto. Questo XXI secolo da poco iniziato è forse caratterizzato ancor di più in negativo rispetto ad altri precedenti; è un periodo dove i valori sono sovvertiti dall’egoismo e dal continuo uso e consumo dei piaceri che si sgretolano nel momento dell’accadimento. Si inseguono chimere che illudono di poter trovare l’Eldorado, l’Uomo è sempre meno contento della propria vita ed allora si tuffa nel mare delle distrazioni momentanee; soprattutto per l’avvilente paura del futuro e della fine della vita, cerca di sforzarsi di annullare le percezioni spazio-temporali, affogando in un eterno presente illusorio. Non si curano i rapporti umani perché considerati solo una perdita di tempo, ed allora meglio saziare i propri istinti senza tener conto che questa voracità passa e si ripresenta ancora più forte di prima.
Quanto si è evoluto l’uomo? C’è davvero il coraggio di ammettere ciò che veramente si vive? Nell’era computazionale e sempre più tecnologizzata pare si viva in maniera rigidamente plastica, ovvero ci si modella solo in base agli stereotipi del momento per non rischiare di rimanere isolati e quindi fare i conti con il proprio animo, che conduce sempre al confronto con quelle zone di ombra, le quali ad ogni costo ci sembra opportuno evitare.
Gli slogan oggi sono:
“Dimentica”
“L’Amore non esiste”
“Se non ti va bene cambia”
Mercificazione dei sentimenti che trascinano l’Uomo verso una condizione di Erotismo bramoso di cui non si è mai soddisfatti.
Bauman parlava di una “società liquida”, a noi sembra più calzante affermare che la nostra è un’epoca gassosa o rarefatta. Si contestano i valori universali considerandoli come obsoleti e privi di fondamenta, ma quanto questi dissidenti sono felici? Quanto veramente hanno chiaro il concetto di “Libertà”?
Selfie, corpi in mostra, sorrisi stampati, perché dimostrare la solitudine non si può. È una condizione contagiosa, dove ognuno conosce il proprio dramma ma deve solo dimostrare di essere felice.
Ma cos’è la felicità? Un tavolo da gioco, un fine settimana nei migliori alberghi, una lunga vacanza? Pensiamo di no, si può benissimo sperimentare lo stato di beatitudine quando ci si apre all’amore, alla fiducia reciproca, alla fedeltà nei confronti delle leggi dell’universo.
Questo continuo cambiare ha un significato in sé, è finalizzato all’acquisizione di un senso oppure è la ricerca di elementi che possano appagare lì per lì le aspettative di comodo? Epoca la nostra in cui non puoi parlare d’amore perché ciò è considerato segno di debolezza. Inoltre, c’è l’insorgere di scuole di pensiero molto sintetizzate che interpretano l’amore come una forma di patologia e diagnosi di malattia da appiccicare a chi vive con empatia il percorso personale. L’Amare, quindi, viene considerato una forma di attaccamento patologico, segno di mancanza di completezza interiore. Queste pseudo scienze considerano i sentimenti come alienanti e talvolta deleteri.
Davanti a questi scenari non si può non rimanere basiti. L’uomo per sua natura è un “animale politico (sociale): più subisce castrazioni più l’umanità si trova nel baratro tra il voler essere ed il non aver raggiunto l’oggetto del suo desiserio.
I sentimenti, quelli autentici, persistono nel tempo, crescono, si sviluppano. Nel momento di crescita è possibile provare un senso di smarrimento. Ma è proprio quando due soggetti incontrandosi nel punto di sella diventano due essenze in una unica visione di inseme, dove il linguaggio verbale trascendendo da sé diviene linguaggio animico, intuitivo, è impossibile contemporaneamente provare Amore, voler bene e continuarsi a farsi inutili guerre. Chi ama ha anche spirito protettivo, si preoccupa per l’altro, vive in funzione di un costante confronto.
L’appiattimento dei sentimenti accade quando da parte di uno non c’è più interesse, ed ha solo lo sfrenato desiderio di altro. Un’nterpretazione liquida della realtà dei sentimenti ha deviato l’uomo gettandolo all’interno di una profonda trincea dove egli crede esserci la realtà, l’unica vera realtà possibile.
Se amare fa soffrire non amare è anestetizzarsi, non sentire dolore ma neanche la vita. Non amare è devitalizzarsi.
Si è bisognosi di completarsi, ma non avendone consapevolezza il pensiero umano si accontenta di sentirsi appagato per mezzo di compagnie fittizie, mezzi fortuiti a cui aggrapparsi, sostegno per la propria solitudine. Dall’altro lato però c’è la negazione assoluta dei sentimenti.
Ci si accosta a chi corrisponde a determinati canoni, la diversità si scansa per paura del confronto del rivedersi nell’altro.
La letteratura socio-antropologica ha finalmente dichiarato il disimpegno dell’uomo nel portare avanti rapporti duraturi, nel concentrarsi su ciò che è hic et nunc, su certezze che non sono fondamentali ma assicurano un distacco da probabili scossoni.
Troppe aspettative deludono, il disattaccamento delude, l’attaccamento annoia.
Chi ha il coraggio di lottare per principi e valori aldilà del tempo cronologico?
Chi sente la frenesia magnifica di ri-guardarsi e ri-proporsi come essere nuovo?
Non c’è molto da vedere, forse neanche il coraggio di raccontarsi.
Si corre verso la felicità. Ma come si interpreta questo fonema?
Si lasciano punti interrogativi. Solo nel progressivo svolgersi degli eventi si potrà rispondere di questa epoca, non ancora lontana nella sostanza dalla visione che ne ha dato il cantore di Laura.
Amare è anche solitudine, si pone sempre questo quesito? Ma cos’è la solitudine: vivere da soli, o essere produttivamente soli?
BARTOLOMEO DI GIOVANNI (THEO JOHN)
Si ringrazia Giovanna Fasano.