La fiaba di RUGGIÀ E GLI OCCHIALI A RAGGI X (alla ricerca del cuore di piombo) di NINO VELOTTI
Dietro quel muro cosa si nasconde?
Qui tra le cose è tutto come sembra?
Inganna questo specchio, ti confonde,
il tuo viso è una maschera e le membra
sono d’ombra. Ombre senza corpo, corpi
senza ombra… Un’ombra di collana sembra
un fiore ribaltato, oscilla; storpi
aspetti affiorano mentre si svela
l’essenza… Morirai con gli anticorpi
a ciò che è vero, mentre come vela
naviga al vento l’immaginazione.
Costretto nel tuo corpo, non trapela
se non ad occhi chiusi la ragione
vera del mondo: ciò che vede il mondo
è soltanto un’immagine-finzione
di un altro mondo, e qui nel girotondo
triste dei giorni solo quando sogni,
quando sei ebbro di febbre l’Oltremondo
reale ti si rivela. Ma ai bisogni
tuoi di evasione viene ormai in soccorso
un prodotto geniale adatto ad ogni
età: nulla di tossico, rimborso
garantito per guasto o per mancato
funzionamento. Per sfuggire al corso
statico del tuo tempo un ritrovato
innovativo tu puoi or ordinare:
folle monotonia del mondo al lato,
anzi da parte fatti! Fa’ arrivare
a casa le visioni insospettate:
attraverso un sol paio di occhiali, ignare
le persone potrai scrutar svelate,
scoprire cartilagini e ossa vere
oltre le carni e le ipocrisie date
da natura ed usanze nel vedere
ordinario… Ruggià su un giornaletto
fantasticava tra strip bianche e nere
all’inizio di questa storia, stretto
dalla lettura sul letto, curioso
dell’oggetto ottimo con un fumetto
reclamizzato, perfetto; smanioso
pensava che l’avrebbe alla consegna
con la paghetta pagato, festoso
di averlo prima ancor della consegna.
Nome e indirizzo, compila il tagliando
sul fondo della pagina e s’impegna
così all’acquisto. Strappa il foglio, quando
picchia al balcone sul vetro un uccello
rosso e nero mai visto, che gracchiando
irrompe nella stanza ladroncello
dalla finestra apertasi d’incanto:
afferra il foglio, poi come un battello
nella bufera sparisce. Di quanto
fosse accaduto ne ebbe chiaro il senso
tre giorni dopo, quando planò accanto
al nostro eroe lo stesso uccello denso
di magia colorato a sangue e lutto,
mezza gazza simpatica in compenso,
che goffa gli sganciò vicino il frutto
di un lungo viaggio, un pacco con un nastro
d’argento scintillante, che lui tutto
preso non esitò a scartare, il nastro
mettendo in tasca per farci rotelle
antistress e abbellire nell’incastro
di materiali e tinte le cartelle
dei lavoretti per la scuola. Toglie
il coperchio, una custodia poi espelle
mettendola sul letto. “Le tue voglie
di conoscenza gratis ho esaudito”,
cominciò a dire l’uccello con spoglie
sillabazioni stridenti. “L’ordito
del mondo scoprirai, nudità sotto
apparenze vedrai, ciò che è proibito
non da ragionamenti e test dedotto
sarà evidente verità a tuoi occhi
grazie alle lenti a raggi X, il prodotto
definitivo contro i paraocchi
datici in dotazione da Natura
quando nasciamo. Senza i mille blocchi
consueti tu potrai guardar l’oscura
materia di cui è fatto l’universo
e gli universi in più oltre la misura
concessa a noi. Però, tu per converso
diventerai antipatico alla gente,
ancor di più bizzarro e controverso
di quanto non sia già, semplicemente
perché non si ama chi capisce il mondo,
perché resta incompreso chi umilmente
comprende. Un certo fascino avrai in fondo,
però… Pruriginosi i tuoi interessi?
Oltre la pelle andrai, troppo profondo
è il tuo sguardo… Se a destra l’asta pressi
– c’è un pulsantino -, torna una normale
visione delle cose… Quei compressi
desideri vedrai esauditi… Quale
ricambio del mio dono tu dovrai
svolgere una missione contro il male,
dopo i particolari. A te, semmai
tu dovessi fallire, resteranno
gli occhiali.” Da quegli occhi focolai
partiron raggi sul muro, sul panno
del letto, che proiettarono la mappa
da seguire. La gazza con affanno
diede le indicazioni sulla mappa;
entrava nella stanza un forte vento
dal suo balcone aperto ed una cappa
di mistero aleggiava con l’avvento
della luna. L’uccello disse infine:
“Dimenticavo: son Ale Ele Evento,
mago filosofale, con corvine
corde ti parlo attraverso il pennuto,
è il mio fedele nunzio.” Con feline
orme, frattanto, e passi di velluto
giungeva lenta in camera Nerina:
la gazza scampò a stento a quell’astuto
gatto, le accese pupille che inclina
qual fari d’elicottero di sera
sparendo nella notte… La mattina
dopo Ruggià con una bella cera
uscì a provare quei suoi nuovi occhiali.
Come se uscisse da una grotta nera
gli parve il mondo: persone cordiali
avevano una luce attorno, un’aura
bella, altra gente aveva potenziali
inespressi che intuiva. Così instaura
una simbiosi: l’ottico congegno
lo rende sensitivo circa l’aura
degli umori e pensieri altrui e il disegno
di porte vede nel vuoto e nei muri…
Tutto connesso a un labirinto, un segno
ingarbugliato; come idrocarburi
in fiamme intorno a certune persone,
altre con macchie o con aloni scuri.
Attorno agli animali c’è un festone
di purezza, così per le intenzioni
sono semplici e belli… Sì, Guaglione
il can bianco all’inferno dei bidoni,
nella discarica dello strapiombo
con Ruggià andrà a cercare tra gli embrioni
del percolato quel cuore di piombo
richiestogli dal mago della mezza
cornacchia, quel principio d’oro e piombo
che gli uomini hanno gettato qual pezza
logora tra i rifiuti; sì, arrivisti
tutti ormai in una gara che dimezza,
consuma il cuore a consumare tristi
felicità con leggi di profitto
unicamente materiale, tristi
nell’unica ricerca di profitto
e successo coi cuori andati persi.
Ruggià ci andrà coi nuovi occhiali dritto
come un normale gatto che attraversi
le camere del mondo con le assenze
che vede, le istruzioni date a versi
con la gazza seguendo e le avvertenze
del mago insieme a un foglio dall’astuccio
recuperato, con le previdenze
necessarie anche per il cane e il cruccio
di riuscire nel compito. Un prescelto
si sentiva Ruggià da quel cantuccio
privato uscendo, lui soltanto scelto
per salvare quel mondo che ormai andava
a rotoli. Chissà perché fu scelto
proprio lui… Mascherina, sì, una clava
da rabdomante, scarponi ed al cane
anche le giuste protezioni. Andava
verso la meta impicciato da strane
vesti e accessori, equipaggiato bene
per affrontare il peggio tra le arcane
immondizie. Anche Guaglione, sebbene
più sciolto, con un cellophane addosso.
si ritrovava e un filtro per cancrene
aeree dentro una museruola. Il fosso
atroce trovasi in periferia.
Va a sinistra sul ponte dopo un dosso,
fa risuonare sul cavalcavia
la ringhiera di lato come un’arpa
con mani tese mentre avanza. Spia
l’orizzonte, si allaccia poi una scarpa:
guizzi di nubi dipinte dai venti
pennellate di grigio, mentre l’arpa
del mondo manda mille echi ed accenti…
Belle le nubi, a volte ragnatele
già sfilacciate su azzurri violenti,
oppure chiome d’alberi su tele,
oppur muffe velate, smagliature
nelle calze del cielo… Il suo fedele
bianco peloso amico d’avventure
procedeva al suo fianco producendo
un suono di pupazzo, perché pure
lui aveva delle scarpe, sì, un orrendo
pacco imbottito fissato a ogni zampa
per precauzione. Arrivati al tremendo
baratro incrociano con una zampa
enorme di gallina tra le mani
un ragazzino che fugge e s’avvampa
per le risate; tira poi gli insani
tendini della zampa salutando
con essa i nostri. Le inferriate immani
di un cancello automatico varcando,
spalancatosi al loro arrivo insieme
a un tir, a uno spettacolo nefando
vengono ora ad assistere: un insieme
grigio di mille cose, un grigio puzzo
li investe con la nausea e paura assieme.
Neri uccelli senz’ali nello spruzzo
di deodoranti sembrano girini,
siluri assurdi nel cielo. L’aguzzo
cumulo a destra su molli declini
tiene una strana pecora che bela.
Dalle tre teste perde sangue; inclini
gli occhi a terra, davvero ti reggela
il cuore. In fondo la nera palude
ribolle in schiuma e metano, miscela
gli umori dei rifiuti e dentro include
dei vermi uguali a fluorescenti tubi
variopinti, che brillano nel rude
squallore della zona. Sì, qui in nubi
d’organiche memorie si marcisce
accanto a plastiche eterne; da cubi
d’ecoballe, in mucchi oltre quelle bisce,
lì a decomporsi col pantano a fianco,
– nota un giocattolo: il caos seppellisce
un vaso-paperotto -, lì nel bianco
lontano s’alza quell’acido sciame…
Ruggià accende il congegno, pigia a fianco
sull’asta degli occhiali e anche il catrame
si tinge… Per finire in questo inferno
che colpa avranno gli oggetti, che fame
d’oblio, si chiede Ruggià nel suo interno;
suo e del nonno quel vaso? Chissà, uscire
dal gioco della vita senza inferno,
fame di sopravvivere, subire
pegni – si lasciò andare il nonno -, un tasto
off schiacciando soltanto e puff svanire…
game over… pace e niente più contrasto
con altre cose… Nel punto più rosso
c’è da recuperare il cuore. In pasto
è ormai a quel suo obiettivo: non ha un rosso
costume addosso da supereroe,
non è ipertecnologico, ma è rosso
d’amore e di coraggio. Come boe
alla deriva queste sue speranze
di terminare la missione, eroe
comunque vi si aggrappa: mescolanze
eccessive di cose, più di un ago
in un pagliaio quel cuore in adunanze
fortuite. Ma ad un tratto verso il lago
si avvia Guaglione, forse avrà fiutato
qualcosa. All’improvviso appare un drago
che irrompe dallo stagno. È coronato
da sette teste, quasi come l’Idra:
pare in fibrocemento fabbricato
questo mostro d’amianto, sì, quest’Idra
che divora immondizie e da sfinteri
in fiamme dietro effonde qual clessidra
di morte un fumo nerissimo. Alteri
gli occhi rossi, non vede per fortuna
i nostri amici, che, ancora più seri
proseguono il cammino. L’aria bruna
ulteriormente li cela, quand’ecco
un tizio con più mani, di cui ognuna
ha una bocca all’interno, sì, quand’ecco
uno strano essere con braccia lunghe,
con mani come foglie, sì, quand’ecco
che da quei rami di carne, prolunghe
di un busto con due gambe ed una testa
d’uomo normale, si spandono oblunghe
queste parole: “Gioventù sì è desta
per me, famelico Bisogno! Grazie!
Sì, Bisogno è il mio nome ed è una festa
di povertà, con queste bocche sazie
mai e poi mai in mani senza mai ristoro,
tutta la mia giornata tra disgrazie
di rifiuti. Ritrova il cuore d’oro
sebbene pumbleo, nobile principio
di equità! È giusto: a pochi ogni tesoro
e a troppi solo lo spreco? Il principio
umano è condividere l’eccesso:
benessere per tutti sia il principio
informatore di tutto il progresso!
Però la schiuma viene a galla e schiuma
tutto diventa senza ugual possesso
di idee. Si omologhi al succo la schiuma
nel costrutto!” Indi sventaglia ogni mano,
saluta i nostri. Lì, su gommapiuma
a pezzi, un vecchio apparecchio – che strano! -,
una tivvù catodica trasmette
pubblicità. Il personaggio balzano
quasi è sparito coi suoi stracci a fette,
con la sua barba ed i capelli sporchi,
quando Guaglione con le sue zampette
protette inizia a scavar tra gli sporchi
accumuli, lì dove Ruggià vede
attraverso le lenti, qual con orchi
informi un sole ridente si vede,
quel rosso pixel che infiamma e lo abbaglia
un po’: l’essenza di piombo intravede
nel magma putrescente che scandaglia
coi suoi occhiali a infrarossi o quasi. Inizia
a scavare anche lui in quell’accozzaglia
con la mazza: lì è il cuore, che letizia!
Il cane medio piccolo, dai baffi
sul muso e dalle orecchie dritte, inizia
a saltare di gioia. Ronzanti schiaffi
arrivano però di brutti insetti
come brutti pensieri, come graffi
in testa, come letali confetti
che disattivano i raggi X… È sveglio
nella sua stanza, di ditte e ancor netti
vecchi adesivi sulla porta. È sveglio.
Fuori al balcone accendeva l’ovatte
intrise d’alcol per gioco. Sì, è sveglio
e si ricorda di pietre sottratte
durante le vacanze a spiagge varie,
ormai in qualche cassetto quasi astratte,
sul grigio, a forma di cuore, arenarie
perle. Adesso raccoglie nuove cose:
oggetti a guisa di gatto, antiquarie
modernità di poco prezzo, prose
di vesti, occhiali in più d’un mercatino,
lui miope a caccia di tesori e cose.
Cercherà sui suoi occhiali un pulsantino…
Illustrazioni di Noemi Campagnuolo e Nicola Gentile, Classe II E, Scuola Media dell’I.C. di Arienzo (CE) “Galileo Galilei”. Si ringraziano i Prof. di Arte e Immagine Aniello Servodio e Mirella Carfora insieme alla Dirigente Rosa Prisco.