Paura del diverso: l’alterità come antidoto di Mimma Leone
Se si tratta il tema della paura del diverso come fra i più attuali e aderenti alla scena sociale dove, a più livelli, siamo sia attori che spettatori, il dato non è certamente da poter annoverare nella rassegna dei più lieti, anzi. Si potranno senz’altro trovare opinionisti e lettori che avverseranno questa teoria ma spesso, nel confronto diretto con molti di loro, è essa stessa, purtroppo, a venirne fuori più forte e solida che mai come se, nel tentativo di nascondere un disagio, questo non facesse altro che trovare, semplicemente, altre strade per manifestarsi.
C’è tuttavia un limite entro il quale non solo la diatriba è concessa, ma perfino necessaria alle parti in causa: è il dinamismo intrinseco al dialogo, che per Galimberti è ben lungi dall’essere considerato confronto pacifico (in greco, dìa indica separazione, diversità) ma resta necessario spiraglio nel quale gli angoli più acuti possono trovare lo spazio idoneo per allargare il raggio di visione e iniziare a sfondare il muro del pregiudizio.
La crisi dei valori impone la costruzione di nuove strutture di pensiero, non sempre compatibili con la democrazia, ma più vicine all’istinto dello stato di natura che all’elaborazione dell’uomo del 2000. Prospettiva ricca di pericoli, sia sotto il profilo etico che per quanto concerne quello politico in quanto, come direbbe Levinas, l’intolleranza non è una dottrina singola, ma un’insidia trasversale ad ogni dimensione che riguarda il destino degli uomini. Allora, se l’alterità non può essere studiata a scuola come materia regina, per evitare che la Storia continui ad essere racconto alternato di persecuzioni ed esili, è almeno opportuno scomodare i sofisti, fra i primi ad essersi misurati con la portata, e perfino con l’utilità, delle differenze fra gli uomini, da quelle naturali a quelle civili.
Anche loro sapevano bene quanto la paura dell’ignoto ci faccia diffidare della diversità, così come quanto il senso di appartenenza ci spinga a cercare chi ha le nostre stesse opinioni, i nostri stessi gusti e, possibilmente, la nostra etnia e il nostro medesimo colore della pelle. Incredibilmente, l’ordine di questo elenco, si ribalta ancora e s’inverte negli anni in cui la discussione sull’immigrazione viene posta in primo piano dal giogo politico che, sovvertendo il problema, attraverso il tamburo battente dell’urgenza e dell’attualità, risveglia invece paure ataviche mascherate da slogan e fake news.
Ma che l’altro sia uno specchio, è un ulteriore equivoco pieno di trappole; se davvero la nostra immagine si riflette in quella di chi ci è di fronte, la forma rappresentata non può che essere simile, mai uguale. Nessuno è uguale a un altro. E se il colore della pelle è fra le differenze più grossolane anche se immediatamente visibili, allora dalla forma si passa alla sostanza, al massimo comun denominatore della dignità inalienabile, dal cogito cartesiano alla soggettività razionale di Kant, fino alla costruzione dell’identità molteplice. Ma quando la visione dello specchio è deformata, diventa possibile, per non dire frequente, che si possano innescare meccanismi di dominio-schiavitù, forza-debolezza, azione-passività, in un sistema di rapporti squilibrato che non ammette aperture.
Sembra sempre più difficile, infatti, ammettere che solo nel confronto con l’altro si declinano le reciproche identità, in un paradosso dialettico nel quale è racchiusa l’autentica avventura dell’esperienza umana, del ri-conoscersi nell’incontro e, su larga scala, finalmente, dell’integrazione sociale al di là di ogni preconcetto.
Del resto, lo stesso Derrida aveva ipotizzato, fra le difficoltà dell’Essere, la presenza della differenza all’interno della medesima identità: differenza come ‘tener conto del tempo e delle forze’.
La scoperta, o ri-scoperta, della bellezza di essere simili e diversi impone di sacralizzare proprio il concetto della differenza, nell’esercizio della molteplicità e dell’empatia.
Libro consigliato: ‘Alterità. L’identità come relazione’ di Roberto Marchesini, Editore Mucchi.
MIMMA LEONE