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Ardenti o Serafini: Uno Sguardo all’Iconografia Parte Prima di Eleonora Paradisi Miconi

Nella visione e teologia cristiane si è andata consolidando nei secoli l’idea per la quale esista una ”specularità” fra il Regno divino e quello infernale, una simmetria e un complesso gioco di corrispondenze che così magnificamente personalità come Dante seppero rappresentare e che così profondamente contribuirono a radicare. Geometria e numerologia furono messe al servizio di tali rappresentazioni, in un sistema al cui interno quanto veniva identificato come sacro subiva un rovesciamento ad opera del suo opposto: così, le ore tre del mattino divennero nel credo comune l’ora del diavolo per sprezzo da parte di Satana al sacrificio del Cristo, i polindromi guardati con sospetto, nella tradizione letteraria e figurativa si assistette dal consolidarsi di un Inferno concepito con la forma di una montagna capovolta, il ruolo, già delineato da Tertulliano nel II secolo, di un diavolo ”simia Dei” (”scimmia di Dio”) in quanto meschino imitatore di Dio, affermato e riaffermato a più riprese tanto nel folklore quanto nel cuore stesso della Dottrina. Così fu anche per le gerarchie di angeli e demoni, perché nel modo in cui lo Pseudo-Dionigi l’Aeropagita nel De coelesti hierarchia colloca gli angeli all’interno di una ben precisa gerarchia lo stesso si farà con le loro controparti luciferine, così faranno San Tommaso e lo storico Michele Psello, l’olandese Johann Weyer con lo Pseudomonarchia daemonum e l’anonimo autore de La Piccola Chiave di Salomone. Se, prendendo a prestito un celebre verso di Dante, Satana è ”l’mperador del doloroso regno”, c’è una corte, deve esserci, e questa corte altro non sarebbe che lo scimmiottamento e la parodia perversa di quella celeste, quella cui fanno riferimento Sant’Agostino, San Gregorio Magno e il già citato San Tommaso nella Summa Theologicae, nella quale dichiara:

”Dio (…) stabilì diverse gerarchie nella natura angelica. Ora, come la natura angelica fu creata da Dio perché conseguisse la grazia e la gloria, così sembra evidente che i vari gradi della natura angelica siano ordinati ai diversi gradi della grazia e della gloria. Allo stesso modo farebbe un muratore il quale prepara le pietre destinate alla costruzione di una casa. Dal fatto stesso che egli dà ad alcune pietre una forma più bella ed elegante, si capisce che egli le ha destinate alle parti più decorose della casa. Analogamente, gli angeli i quali furono dotati da Dio di una natura più perfetta, furono anche deputati da lui a ricevere maggiori doni di grazia e una più grande beatitudine1

La traduzione dal greco in lingua latina del Corpus costituito dalle opere dello Pseudo-Dionigi, affidata da Carlo il Calvo a Scoto Eurigena, sanciva di fatto la piena accettazione di una ”corte divina”, come qualsiasi altra corte, istituita dagli uomini a sua immagine, retta da un’impostazione di carattere espressamente gerarchico. Ecco dunque spiegata la ragione per cui oggi, visitando il Battistero di San Giovanni a Firenze e alzando lo sguardo, è possibile, in una delle fasce che rivestono la volta della cupola, ammirare i mosaici con la rappresentazione della gerarchia sopracitata, i suoi nove ordini. Essa si sviluppa su sfondo d’oro e in otto sezioni, in sette delle quali sono racchiuse una coppia di angeli e la relativa didascalia tramite cui viene esplicitato l’ordine di appartenenza, sempre secondo la suddivisione delineata nel De coelesti hierarchia. Abbiamo la cosiddetta prima sfera, che comprende gli angeli ”comuni”, gli Arcangeli elegantemente abbigliati, affini ai primi (come sembra sottintendere la pergamena che gli uni e gli altri recano, sebbene chiusa in mano ai primi e srotolata, ”rivelata” fra le mani dei secondi) e i Principati, muniti di vessillo in quanto custodi delle Nazioni e di un potere sovrano; abbiamo le Podestà, i cui elmi e le cui corazze alludono al potere amministrato con rigore e giustizia, le Virtù dispensatrici di grazia e raffigurate pertanto nell’atto di compiere dei veri e propri esorcismi e le Dominazioni, gli scettri delle quali appaiono sormontate da trifogli, la pianta utilizzata dai santi per illustrare la Trinità alle popolazioni da convertire. Passiamo alla terza e ultima sfera, cui appartengono le entità a diretto contatto con l’Emanazione divina: abbiamo i Troni, esseri di indicibile purezza, talvolta rappresentati come ruote piene di occhi ma che qui si presentano invece vestiti come alti dignitari di una corte bizantina, intenti a mostrare la mandorla che è allegoria del trono, il trono che sorreggono e circondano; in ultimo, ai lati del Cristo benedicente e vestito coi colori che ne simboleggiano la duplice natura, abbiamo Cherubini e Serafini. Entrambi gli ordini vengono dotati di tre paia d’ali e ritratti come teste sospese al centro di queste curiose conformazioni fatte di piume blu e celesti nel caso dei Cherubini e rosse e arancio per i Serafini, dando luogo, nell’insieme, ad un’immagine quasi perfettamente speculare.

Sulla base delle mie ricerche posso al momento affermare che, nonostante il graduale cementarsi nel mondo cristiano occidentale e orientale del concetto di gerarchia angelica, non esiste un pattern universalmente valido e universalmente accettato nell’iconografia che la riguarda, per altro destinata nel periodo post-medievale a subire un inesorabile ”appiattimento” con il parallelo scemare dell’interesse verso speculazioni teologiche di questo tipo. Non siamo in presenza di un canone soggetto a rigide e inviolabili prescrizioni ma di una pluralità di topoi e caratterizzazioni tradottesi in ambito artistico in un esiguo numero di elementi più o meno riconducibili ai singoli ordini e protagonisti di sincretismi che confermano quanto appena riportato. Ciò è vero soprattutto per quel che concerne gli ordini intermedi, mentre per quanto riguarda quelli alle estremità della gerarchia (intesa così come ormai essa è entrata a far parte del pensiero cristiano): mi riferisco ad Angeli e Arcangeli, ai Cherubini e ai Serafini. Proprio su quest’ultimi è mia intenzione soffermarmi e relativa iconografia, le relative peculiarità dal punto di vista artistico e formale e che trovano riscontro nella letteratura sacra e profana, in assoluta conformità con le connotazioni spirituali loro attribuite. Chi sono, dunque, questi Serafini? E’ ben noto il passo in cui il profeta Isaia (6:1-3) parla della loro apparizione: presso al trono di Dio, proclamano l’uno all’altro:

”Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti.

Tutta la terra è piena della Sua gloria”

E aggiunge: ”Tremavano gli stipidi delle porte a colui che gridava, mentre il tempio si riempiva di fumo”. Prosegue asserendo che, al proprio rimarcare la sua condizione di uomo fra gli uomini e impuro fra gli impuri, uno dei Serafini volò verso di lui e appose sulle sue labbra un carbone ardente, affermando di averlo così liberato dalla sua iniquità, dal suo peccato. Esso è il solo passaggio, nella Bibbia, nel quale di quest’ordine angelico viene esplicitamente citata la comparsa.

Asserisce il profeta che queste creature possedessero sei ali ognuna, due usate per coprirsi i piedi, due per volare, due per essere ripiegate sul volto, poiché nessuno può guardare Dio direttamente. Le loro voci sono sì un canto ma un canto che esalta e accompagna l’epifania di un Rex tremendae majestatis2, canto pertanto di terribile solennità e potenza, tale da far tremare gli stipidi. I Serafini sarebbero infatti le creature in assoluto più prossime a Dio e, di conseguenza, le più distanti dalla condizione umana, specchio e custodi dell’energia divina, primordiale, al cui influsso sono direttamente esposti, citati inoltre nell’inno noto come Trisagion (”tre volte santo”, triplice omaggio alla Santissima Trinità). Possiamo vederli in una delle miniature del breviario della Santa, compositrice, scrittrice, naturalista, intellettuale, mistica e Dottore della Chiesa Hildegard von Bingen, straordinaria ed eclettica figura attiva in Germania nella prima metà del XII secolo, la quale divideva anch’ella la gerarchia angelica in nove cori costituiti ciascuno di tre triadi che teorizza essere disposte in circolo, in virtù dell’interdipendenza fra l’uno e l’altro e della perfetta armonia del tutto, due elementi cui la forma sferica allude in modo pressoché inequivocabile (si pensi pure, ad esempio, ai nove cieli del Paradiso dantesco, ugualmente concepiti come successione di cerchi concentrici). Disposti attorno al centro, bianco in quanto fonte di luce purissima, in questo ”mandala” non sono che una moltitudine d’ali munite d’una moltitudine di occhi. A differenza degli angeli propriamente detti, comuni custodi e messaggeri e visibili invece nel cerchio più esterno, sono qui stati privati del tratto umano, del volto persino, ridotti alla propria essenza di ”Ardenti 3”; si è già infatti specificato come essi siano quelli più lontani dalla dimensione umana, mentre gli angeli sono quelli a noi più vicini e più simili, stando ai testi sacri quelli che maggiormente interagiscono con gli uomini, il che ha probabilmente indotto gli artisti a tramandarne l’aspetto quasi completamente umano. Il colore delle ali distingue i Serafini dai Cherubini, qua raffigurati in maniera quasi analoga, ma privi appunto di quel rosso accesso che rappresenta di fatto uno degli ”indizi”, assieme alle molte ali, che ci può portare a pensare di essere di fronte alla rappresentazione di uno o più di questi Ardenti.

Rosse sono anche le dodici ali dei due Serafini (sei ognuno) che compaiono alla destra e alla sinistra del trono su cui Cristo siede in un’altra miniatura, questa presente in un prezioso manoscritto conosciuto come Les Très Belles Heures du Jean de Berry, capolavoro dell’arte franco-fiamminga realizzato nel XV secolo e appartenuto all’omonimo Jean duca di Berry affinché ne accompagnasse la preghiera quotidiana (il cosiddetto ”libro d’ore”). Cristo ha un globo in una mano e l’altra sollevata nel tipico segno benedicente, è un uomo dall’aspetto regale e ieratico alla cui destra, in alto, appare la colomba dello Spirito Santo; è un Cristo Imperator Mundi, la cui imperiale dignità è appunto sottolineata dalla presenza degli esponenti della sua Corte e la cui gestualità richiama forse una sovranità che si estende tanto nei cieli quanto sulla terra, dove gli uomini cercano a loro volta di replicare l’ordinamento divino. Qui, i Serafini possiedono lineamenti umani ed è possibile anche intravederne un mezzo busto, ma la parte inferiore del corpo resta celata alla vista, come nel Libro di Isaia.

Rosse sono le ali dei Serafini che appaiono nella monumentale Assunzione della Vergine (1475 – 1476) di Francesco Botticini, commissionato dall’umanista Matteo Palmieri per la chiesa di San Pietro Maggiore a Firenze e attualmente conservata presso la National Gallery di Londra. Nell’opera, sono ben distinguibili tutti e nove gli ordini angelici, dagli angeli ai Serafini; quest’ultimi appaiono in numero minore rispetto agli altri e collocati nella fascia superiore, come una corona. Il colore delle ali li distingue e ne rimarca la presenza; in basso, sono ritratti in ginocchio lo stesso Botticini, autore de La Città di Vita e sua moglie Niccolosa de’ Serragli.

Rosse sono quelle del Serafino raffigurato in uno degli affreschi in stile bizantino del monastero di Saint-Antoine-le-Grand, creatura il cui volto, rosso anch’esso e serio, assorto quasi, emerge nel mezzo; l’analogia con il fuoco è in questo caso rimarcata peraltro dall’accostamento al giallo-arancio, il colore col quale sono state tracciate le linee che solcano le sei ali, pensate e realizzate in modo tale da suggerire all’occhio dell’osservatore il movimento vagamente sinuoso, irregolare e irrequieto delle fiamme, pur conservando la solenne staticità del Serafino.

Due Serafini dalle ali rosso fiammante incoronano Gesù crocifisso nell’omonima Two Seraphim Angels crowning Christ, tavola centrale del trittico appartenente alla collezione del National Trust e ascrivibile alla produzione novecentesca della British (English) School; spesso, proprio questo colore li rende identificabili quando collocati intorno al trono della Vergine assieme ai Cherubini, resi riconoscibili dall’uso del blu (l’accostamento del blu e del rosso ha peraltro, a partire dal XIII secolo, già in sé un richiamo alla duplice natura del Cristo e all’iconografia stessa di Maria). E’ il caso, ad esempio, del delicatissimo Vergine e Bambino con gli Angeli di Benozzo Gozzoli del 1490, di Vergine con Bambino in gloria circondata da Santa Maria Maddalena, San Bernardo, Angeli, Cherubini e Serafini di Francesco Botticini del 1480 circa e del più famoso Madonna del Latte in trono col Bambino, realizzato da Jean Fouquet fra il 1450 e il 1455 e facente parte dello smembrato Dittico di Melun.

ELEONORA PARADISI MICONI

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