Cookie Policy “Coronavirus” di Giorgio Del Sole -

“Coronavirus” di Giorgio Del Sole

Il legame perfetto tra angoscia di morte, impotenza e fobia sociale

 

 

Bisogna tornare indietro di molti anni fino al 1918 per evocare nelle menti delle masse i fantasmi delle grandi epidemie.

Fu l’epoca della grande influenza spagnola, una pandemia influenzale, che arrivò ad infettare circa 500 milioni di persone provocando il decesso di 50-100 milioni su una popolazione mondiale di circa 2 miliardi e ad aggravarne la portata fu che non era selettiva, infatti uccideva indiscriminatamente giovani ed adulti.

Quando accadono questi eventi globali, vengono a vacillare i pilastri sui quali gli esseri umani poggiano la loro stabilità, viene meno il controllo sull’angoscia di morte, sentimento latente all’esistenza umana che viene calmierato abitualmente dalla proiezione di onnipotenza sulla medicina e la tecnologia.

L’essere umano si viene a trovare in questi casi, da figura dominante appartenente ad una specie superiore, che anche se illusoriamente domina la natura, a preda vulnerabile di un nemico invisibile.

Eventi di questa portata riescono a far vacillare anche le più ferree certezze nelle menti più salde, in quanto nella nostra fattispecie, l’incertezza esistenziale che il Virus COVID-19 induce nel nostro inconscio, si va a doppiare, alla nostra inevitabile condizione di precarietà dovuta all’essere mortali, con un tempo a termine.

La mente umana non può concepire altro che l’essere “In Vita”, perché non ha nessuna esperienza prima della propria nascita, non provenendo da una dimensione esistenziale nella quale poter tornare, ma bensì da un nulla ignoto e minaccioso, nel quale si cadrà nuovamente, tornando nell’oblio della propria pre-esistenza, una volta giunti alla fine dei nostri giorni.

Dinanzi ad una minaccia concreta di un qualcosa che può far cessare la propria vita, che si protrae nel tempo, non può reggere a lungo nessun paracadute religioso o filosofico, perché nulla potrà ricostituire una esistenza fisica, ne spirituale non essendoci mai stata prima neppure come esperienza mentale.

Oltre a quanto detto, le pandemie riaccendono le proiezioni inconsce di impotenza, abbandono e regressione.

Il sentirsi impotenti dinanzi a questa pandemia, fa regredire all’età bambina, età nella quale solo i genitori potevano difenderci dall’uomo nero e da ogni pericolo di vivere, allora inconsciamente si spera che tornando a quel tempo, attraverso una regressione qualcuno ci possa salvare.

Ci si aggrappa inconsciamente a chi ci ha dato la vita, per difenderci dalla sua possibile imminente perdita, ma non solo razionalmente, ma anche ricollegandoci alla costruzione fantasmatica genitoriale dentro noi stessi, portatrice però di antiche gabbie mentali familiari.

Ma ahimè, spostando la propria mente in un quadro regressivo, ciò ricollega alla nostra realtà attuale tutte le paure accessorie di quelle età, quali l’abbandono, la fragilità dell’io e la paura di non farcela.

Per opporsi alla morte si cerca rifugio nell’unica esperienza pre-nascita, ossia quella uterina!

Questo cocktail può divenire esplosivo su una esistenza prima equilibrata, perché viene proiettato inevitabilmente sulle professioni, sulle relazioni affettive e le relazioni sociali, fino a mettere in discussione il perché si esiste.

“Che senso ha vivere se non potrò vivere?”

Abitare mentalmente in una dimensione uterina è la causa del chiudersi in una esistenza asociale, che si concretizza in coloro che preferiscono stare chiusi in casa piuttosto che affrontare la vita, anche se portatrice di minacce.

Fintanto che è un solo individuo a presentare questi sentimenti, il sociale funge da elemento equilibratore, attraverso anche correzioni praticabili nei vari percorsi psicologici o filosofici.

Ma quando tale sentimento accomuna milioni di individui, allora non c’è più il confine certo tra follia e sanità mentale, e qui ci spostiamo appunto nella psicosi collettiva o fobia sociale.

“Se non vi è differenza tra le mie paure e quelle degli altri, nessuno può aiutarmi, è la fine!”

Questa sensazione, ossia il non avere via di fuga o scampo è quella proiezione inconscia accomunabile ad un attacco di panico lucido, che spinge poi le masse ad esempio alla corsa irrazionale per accaparrarsi le scorte ai supermercati o le mascherine.

Ma è possibile rompere questi schemi ipnotici individuali che si specchiano e si rafforzano con i reciproci schemi ipnotici collettivi?

Indubbiamente sì, ma occorre che qualcuno riesca a rimanere lucido, in modo da rappresentare un antidoto, un anticorpo, un confronto opposto alla fobia sociale.

Metaforicamente un gregge impazzito rinchiuso in un recinto accerchiato dalle fiamme gira in tondo senza ipotesi di soluzione, ma se qualcuno interviene facendo una breccia a questo vorticoso pensare, dà vita ad una via di uscita che tutto il gregge poi seguirà.

Questa lucidità dovrebbe averla la classe dirigente politica e medica, oltre che tenuta dai mezzi di comunicazione, che purtroppo invece senza la notizia dell’ennesimo caso non hanno audience quindi vendite, dovendo necessariamente fungere da cassa di risonanza che centuplica le ansie, per avere maggiori profitti.

Certo non aiuta neppure la conflittualità tra ministri, né quella tra i virologhi, che spesso proclamano linee guida, quindi vie di uscita discrepanti.

Un virologo afferma che è utile chiudere le scuole, mentre un altro afferma il contrario, ossia che vanno tenute aperte perché non ci sono chiari studi scientifici che provano l’efficacia di questa misura sul contenimento della pandemia.

Questo è il comportamento che fa esplodere ulteriormente la fobia sociale, ci vorrebbero invece poche e chiare indicazioni da tenere, basta una conduzione convinta delle masse per farne sopire l’isteria.

E’ utile informarsi più da fonti accreditate piuttosto che farsi trascinare sull’ottovolante mediatico dei giornali e della tv.

Nel proprio microcosmo d’altro canto, occorre una razionale prudenza, un agire lucido, con la consapevolezza che nessun temporale è mai eterno e che l’umanità ha affrontato ben altre sfide e noi stessi abbiamo vinto già moltissimo sul piano esistenziale, ed infatti siamo ancora vivi, resistendo a tutti i pericoli del vivere.

 

E se tutto cambia?

Occorre comprendere che in ogni cambiamento abbiamo la possibilità di adeguarci e migliorare, anche una pandemia porta con se utili e nuove consapevolezze su cosa è davvero importante nella propria vita, facendoci apprezzare di più quanto abbiamo già e della cui bellezza, non ci rendevamo più conto pensandolo scontato.

Chi amiamo, ciò che siamo, i nostri valori, può rappresentare la via di uscita, una forza di volontà maggiore per resistere alle eventuali conseguenze di una pandemia, sia dal punto di vista pratico che da quello fisico aumentando con la forza interiore le possibilità di risposta delle nostre difese immunitarie.

E’ ora il momento di far diventare noi stessi con la nostra lucidità, quel faro che potrà portarci oltre le paure del momento e fuori da questa tempesta un po’ finta ed un po’ vera.

 

GIORGIO DEL SOLE

Lascia un commento

Pin It on Pinterest