Pier Paolo Pasolini: l’arte poetica e filmica come terapia di Nicola Velotti
Tratto dal libro: Pier Paolo Pasolini: l’arte poetica e filmica come terapia di Nicola Velotti
In questo mio breve saggio cercherò di evidenziare attraverso l’analisi di alcune opere e di alcuni film di Pier Paolo Pasolini la sua capacità di trasformare l’arte poetica e filmica in una terapia che gli permetteva di accettare le “brutture” della società in cui viveva.
Pier Paolo Pasolini è uno dei maggiori poeti e registi italiani, una figura “unica” e “irripetibile” nel nostro scenario culturale.
Pasolini è un grande inventore e propagatore di miti, tra questi il più conosciuto è, senza dubbio, la “favola bella” di una sessualità libera, gioiosa, innocente, che egli dice essere tipica del “popolo”. Questo mito appare, con tanta frequenza, in Pasolini da essere spesso considerato un suo tipico leitmotiv, una sua “scoperta”.
Normalmente si tende a leggere l’origine di questo mito erotico nel vagheggiamento, nel desiderio impossibile di un ritorno alla giovinezza vissuta a Casarsa.
Ma l’idea di giovinezza che Pasolini insegue, che eleva a “parte rappresentativa” della sua visione del mondo e dell’arte di cui è stato portavoce, non sono la nostalgia di un passato ormai fuggito, ma l’inseguimento e il raggiungimento di un presente migliore.
Del resto, analizzando le opere di Pasolini, emergono, con ossessionante insistenza, termini come “casto”, “innocente”, “puro”, ogni volta che parla di sessualità. Si tratta di aggettivi che esprimono, tutti, un’opposizione al concetto di “sporco”. E’ evidente che nei ragazzi del “popolo” Pasolini cerchi un quid che possa contrastare la sua visione del sesso cattolicamente inteso come “sporcizia”, come “peccato”.
In Pasolini è presente il gusto della profanazione, la vita diventa quindi un’eterna rincorsa di un “qualcosa” che, proprio perché trovato, viene sistematicamente perso. Per usare le parole del diretto interessato: “e mille volte questo atto è da ripetere:/ perché non ripeterlo, significa provare / la morte come un desiderio frenetico, / che non ha pari nel mondo vitale…”.(a) Pasolini di fronte ad una società che non riconosce uno spazio al suo desiderio erotico, reagisce spesso in un modo del tutto particolare: riteorizzando le esigenze della società, in funzione del proprio desiderio.
I grandi cambiamenti sociali degli anni della sua vita come l’aborto, l’evoluzione del mondo dei giovani, l’aspirazione all’assimilazione del sottoproletariato, sono giudicati, in modo o nell’altro, in base all’influenza che hanno avuto, o avrebbero potuto avere, sullo stile di vita che predilige. Indicativa, riguardo questo suo “rifiuto di comprendere” i cambiamenti avvenuti, nella società italiana, in campo sessuale, è la famosa presa di posizione contro l’aborto.
E’ evidente, quindi, come la sessualità di Pasolini sia tutt’altro che irrilevante, per comprendere il suo agire, e la sua opera. Nonostante ciò, la figura di Pasolini non si può ridurre alla sola omosessualità, anche se intesa nel senso di “diversità”, di forza rivoluzionaria, e di causa scatenante un nuovo progetto politico, ma bisogna ricondurla al suo ruolo fondamentale di “artista”, artista che utilizza la sua arte come cura, artista inteso essenzialmente come un “essere” in grado di suscitare profonde emozioni, un ricamatore dell’animo umano in tutti i suoi aspetti sia positivi che negativi, un uomo dalla disperata vitalità: “lo scandalo del contraddirmi, dell’essere con te e contro te; con te nel cuore in luce, contro te nelle buie viscere”.(b)
(a) P.P. Pasolini – “poesia in forma di rosa” – Garzanti – Milano – 1976 – pag. 3
(b) P.P. Pasolini – “Le ceneri di Gramsci” – Garzanti – Milano – 1957 – pag. 76