Il Festival del Cinema Europeo di Lecce nella sfida del tempo di Mimma Leone
“L’arte si qualifica tale quando è capace di intuizione, quando l’artista dà prova di essere in grado di capire, prima degli altri, il senso del proprio tempo” : in questa premessa di Luciana Castellina e Carlo Verdone, al margine di un omaggio cinematografico al sessantotto, potrebbe racchiudersi anche il senso di una kermesse ambiziosa e di ampie prospettive come il Festival del Cinema Europeo, giunto alla XIX edizione e sempre più ancorato alla città di Lecce, che dopo l’esordio a Corato ne ha dato forma e carattere identitario.
Superata la maggiore età, non si intravedono crisi di sorta: il Festival regge la sfida del tempo e riesce ad alzare l’asticella della qualità promuovendo la filiera del cinema a partire dal basso, irradiando la coraggiosa proposta in un’ottica di lavoro, ricerca e divulgazione che il Sud sta dimostrando di poter sostenere (non sempre senza intoppi, ma con un impegno costante).
Merito di chi ci ha creduto in apertura di millennio, quando ancora il Salento non era certo una priorità fra i pensieri di registi, imprenditori e turisti last minute, quando per molti non poteva essere che un azzardo investire risorse a favore della settima (per alcuni decima) arte in un territorio bellissimo ma poco generoso. Eppure, il coraggio può premiare: in un barocco leccese bagnato dal sole, si è rinnovata anche quest’anno la possibilità di vivere un’occasione di intrattenimento in grado di stimolare il pensiero critico attraverso immagini in movimento, in un
periodo in cui il virtuale si insinua continuamente nel quotidiano e piattaforme quali Netflix si mostrano in tutte le loro luccicanti potenzialità alternative al grande schermo.
L’edizione appena terminata ha il volto di Cristina Soldano, direttrice artistica storica del Festival, alla cui memoria è stato conferito il premio principale, l’Ulivo d’Oro, che per il Miglior Film va a “The Party’s Over” di Marie Garel-Weiss, “per la maestria nel rappresentare il senso di dissoluzione dei rapporti sociali, la solitudine esasperata, la deriva sentimentale che è stato un fil rouge delle cinematografie europee proposte in selezione.”
Fra gli ospiti di spicco, due grandi protagonisti del cinema italiano, Kim Rossi Stuart e Jasmine Trinca, ai quali, oltre alla consegna dell’Ulivo d’Oro è stato dedicato un corposo omaggio alla carriera attraverso la proiezione dei loro film più significativi che ne hanno contraddistinto il percorso artistico. A rappresentare invece il cinema europeo, Ildikò Enyedi, regista e sceneggiatrice ungherese e Michael Winterbottom, regista, sceneggiatore e produttore della scena britannica.
Molto interessanti le anteprime presentate: “Rudy Valentino”, che arriva in sala a maggio ed è interpretato da Pietro Masotti, Tatiana Luter, Claudia Cardinale, Alessandro Haber, Nicola Nocella, Luca Michele Cirasola, Rosaria Russo, e “Broken” di Edmond Budina, che delinea un ritratto impietoso dell’Albania di oggi, devastata da corruzione politica, inquinamento ambientale e perdita di legami affettivi. Menzione particolare per l’altro evento speciale, ossia l’anteprima di “Respiri”, di Alfredo Fiorillo, con Alessio Boni, Pino Calabrese, Eva Grimaldi, Lidiya Liberman, Eleonora Trevisani, Milena Vukotic, Eva Grimaldi, Lino Capolicchio. Il film uscirà nelle sale il 7 giugno, distribuito da Europictures e L’Age d’Or.Francesco; si tratta di un thriller psicologico che riprende molti temi cari alla tradizione italiana fra giallo e horror, un genere che in Italia negli ultimi anni è stato poco diffuso, poco fortunato e, per questo, poco finanziato. Ma la trama è accattivante, lo scenario sembra giusto e l’atmosfera perfetta; al di là di questo, quando si parte da una buona idea e da un bel cast, essere fiduciosi è d’obbligo.
Il Premio alla Miglior Sceneggiatura va a Stienette Bosklopper per “Cobain” di Nanouk Leopold, “intenso ritratto di un adolescente perso nell’assenza di legami, dialogo, attenzioni e appartenenza”. Miglior Fotografia a Marton Miklauzic per “Yellow Heat” di Fikret Reyhan, “per aver saputo rendere la fotografia protagonista assoluta del contrasto tra paesaggio rurale e industriale, in maniera calda e realistica”. Premio Speciale della Giuria a “Disappearance” di Boudewijn Koole, “per la capacità di inserire, in un paesaggio glaciale, la ricomposizione del rapporto interrotto, o forse mai esistito, tra madre e figlia. “.
Il Premio Mario Verdone 2018 è stato assegnato a Roberto De Paolis per “Cuori Puri” ” film intenso e insieme carico di realismo che rivela con l’attualità del tema, una capacità narrativa forte fin dalle prime inquadrature. Raccontando marginalità e voglia di riscatto e senza alcuna tentazione retorica, il film dimostra infatti che – anche in condizioni di conflitti sociali evidenti – esiste la possibilità che un incontro d’amore possa vincere il doppio disagio esistenziale che il vissuto dei due protagonisti, grazie a una regia sensibile e attenta, racconta anche attraverso un’ottima direzione di tutto il cast”. Sul podio del Premio Verdone anche Simone Godano con “Moglie e marito” e Antonio Padovan con “Finché c’è prosecco c’è speranza”, mentre un Riconoscimento Speciale è stato assegnato ad Andrea De Sica per il film “I figli della notte”, escluso dalla gara per ovvie ragioni di legame familiare.
Nella rassegna “Fra cinema e realtà”, sono degni di nota “Mena” di Maria Cristina Fraddosio e “Il quartiere” di Filippo Maria Cariglia, per motivi molto simili: quello pugliese è un mondo che nel cinema ha trovato una chiave di volta per raccontarsi e guardarsi meglio allo specchio; una narrazione necessaria che è anche autoanalisi e denuncia sociale, senza pretesa di soluzioni da trovare nella celluloide ma nella consapevolezza del grande potere delle immagini che danno vita, voce, opinione, libertà.
Anche in questo senso il Festival gioca un ruolo importante perché regala il palcoscenico ad autori emergenti e a tematiche importanti che spesso s’incontrano sul medesimo piano dialettico.
La Puglia vuole quindi porsi in prima linea anche nell’arte e nella cultura, con tutte le difficoltà del caso ma con una forza dirompente in grado di superarle, insieme a tutti gli attori coinvolti, portandosi al di qua della camera tutto il dietro le quinte, gli autori, le idee, così come gli studenti, il turismo cinematografico, il territorio e la propria storia, per trovare e creare contesti nuovi e modalità di lettura inedite. Ma sotto i riflettori accesi anche le criticità diventano più accese ed evidenti: il Festival del Cinema Europeo non ha ancora il potere onnicomprensivo dei grandi eventi, non è in grado di coinvolgere tutti, non riesce a far respirare a pieni polmoni la sua atmosfera, non trasmette il suo carattere a contesti e cose. Dovrebbe, ad esempio, entrare in altri luoghi-simbolo di Lecce (vedi Castello Carlo V ed ex Convento dei Teatini). Dovrebbe essere volano di un percorso virtuoso di sale che aprono invece di chiudere, e la sua cadenza primaverile avrebbe più senso se finalizzata anche ad inaugurare una lunga stagione di rassegne estive.
Ma le contraddizioni sembrano essere strutturali dei nostri tempi, o forse lo sono di questa terra, meravigliosa e difficile. Ma l’ambivalenza solletica il pensiero e produce immagini nuove, forse un altro film, un’altra sfida del tempo proiettata sullo schermo. Intanto, ci si porta avanti con la prossima edizione, di cui sono già state fissate le date: l’appuntamento è dall’8 al 13 aprile 2019.
MIMMA LEONE