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L’Icona Acheiropoietos e l’ Alogia nella cultura Bizantina di Apostolos Apostolou

L’arte nasce dalla costrizione e muore di libertà” André Gide.


Il poeta greco O. Elitis (nel 1979 fu insignito del Premio Nobel per la letteratura) diceva che «Gli europei e gli occidentali trovano sempre il mistero nell’oscurità, nella notte, mentre i greci lo trovano nella luce, che per noi è un assoluto». E continua: «La Grecia e il suo paesaggio sono l’alfabeto di elementi naturali a cui ho cercato di trovare una corrispondenza morale nella poesia».

Questa corrispondenza morale c’è anche nella pittura. Possiamo vedere la luce della pittura bizantina. Abbiamo una luce della “comprensione intuitiva”. La luce che illumina la pittura ortodossa non è una luce naturale che proviene da una fonte esterna concreta e che deve obbedire alle regole rigide e impersonali della diffusione lineare della luce, come accadde nell’arte occidentale. Si tratta invece di una luce “che scende da sopra” e illumina le immagini raffigurate da dentro. Possiamo dire una luce, senza una fonte concreta o un angolo d’illuminazione che romperebbero la rivelazione della sua onnipresenza.


La luce secondo la pittura Bizantina, o secondo la tradizione iconografica, ha la sua raffigurazione simbolica. [1]. E’ la luce increata (gli atti increati secondo filosofo e teologo Gregorio Palamas), e si mescola con l’alterità, dell’operazione ipostatica che esprime il pittore o l’iconografo ortodosso. In realtà il pittore o l’iconografo non c’è secondo l’artista e accademico Niko Hatzikyriako Ghika, è assimilato nella rappresentazione di un’entità. L’icona non ha soltanto un valore pedagogico, ma anche “misterico”, non solo la conduttività della luce ma un contenuto o luogo di Incontro con la persona dell’Icona, e diventa un linguaggio che equivale e corrisponde come i Testi Liturgici. L’iconografia è un’arte dello spirito più che della carne, e da questo punto di vista vuole essere avvicinata. Nella vita monastica svolte un ruolo importante, con l’arte e con il lavoro manuale, come medicina dell’anima. Ecco un episodio che dimostra come funzionava l’arte monastica. [2]


L’imperatore bizantino Andonio Paleologo (1328-1341) visitò il monastero di Monte Athos (il Monte Athos è un’impervia cima rocciosa poco più alta di 2.000metri) e incontrò il monaco e artigiano Atanasio. Quando vide un mobile con bellezza soprannaturale che aveva fabbricato o costruito il monaco Atanasio, chiese al monaco quale fosse il segreto.


Qual è il segreto della misteriosa arte che ha applicato.

Lui risponde: Sono un artigiano semplice, e non ho un segreto particolare.

– Ma faccio questo, per prima cosa non spreco la mia potenza.

– Poi devo sforzarmi di sottomettere la mia mente all’euritmia [3] mi concentro per tre giorni e dimentico tutto.


Dopo due giorni sono completamente indifferente alla mia reputazione. Il settimo giorno non mi fa sentire me stesso, distaccato dal mio corpo. Cosi la mia arte si trova in serena armonia con il cielo.


Per il cristianesimo occidentale secondo S. Agostino, per intendere convenientemente l’arte, è necessario oltrepassare l’anima dell’artista, per fissare lo sguardo nella grande armonia sempiterna (il numero) che vive nell’idea divina: (“Trascende ergo et animum artificis, ut numerum sempliternum videas”. De libero erbitrio I-II,C16 n.42).

Secondo il pensiero greco l’idea non proviene come credono molti dall’eidos, e non è un puro concetto, o un conoscenza concettuale, ma la parola è connessa con il verbo idein (ἰδεῖν) che significa ‘vedere’, come si legge nel Lexicon philosophicum graecum (1615) di Rodolfo Goclenio (Rudolph Göckel): «Idea dicitur παρὰ τὸ ἰδεῖν, id est, a videndo vel cognoscendo, quia repraesentat in mente opificis opus illud, quod vult efficere, seu quia opifex aliquid ex arte facturus opus futurum habet in animo ita delineatum».


Il verbo «eidein» , non significa sapere, ma vedere, cio che è una esperienza visiva. Gli uomini preferiscono, tra tutte le sensazioni, la vista, sia a fini pratici, sia per se stessa.

Essa, infatti, ci fa acquisire più conoscenza delle altre sensazioni, e ci rivela molte differenze. L’uomo preferisce la vista, a motivo del fatto che egli acquisisce maggior conoscenza con la vista che con gli altri sensi; essa quindi è preferita per se stessa, e non per la sua utilità. Heidegger ha parlato di (Ereignis), Vedere per se stesso. E secondo Derrida la parola greca theorein – teoria (dal verbo ορώ, cioè vedere) che significa illuminare “la cosa”.


La filosofia bizantina è fondata sulla rilettura e rivalutazione del logos. Rifiuta le categorie proprie della razionalità (il razionalismo occidentale) e si riappropria di uno sguardo alogico e intuitivo che, tramite analogie e sinestesie, svela una rete di relazioni inedite. Cosi la filosofia bizantina riesce a penetrare il mistero delle cose, arrivando a intravedere una realtà ultima. Filtra i precisi dati descrittivi in mondo irrazionale. Nell’inno Akathistos abbiamo la frase «salve logo incontenibile» (Χαίρε λόγου αχωρήτου) che significa che il logo sta accanto (para, / paralogia) alla logica (alogia). L’alogia è l’aporia insita nel travaglio, dello sguardo, del tatto, del concetto. Alogia significa aporia dell’occhio, dello sguardo, del pensiero. Giovanni Climaco ha parlato di lutto amoroso quando il lutto si trasforma in gioia, ma in una gioia non passionale, sobria, velata di profondità. Solo in questo modo potrà l’uomo penetrare in un mondo dai contorni indefiniti e udire l’eco di suoni lontani.


Nella filosofia bizantina si nasconde un mondo popolato da innumerevoli simboli, suoni, odori, impressioni. Cosi abbiamo nella pittura o iconografia bizantina la pittura di acheiropoietos. Ma che cosa è l’icona acheiropoietos? Achiropita o acheropita, dal Greco bizantino ἀχειροποίητα (“ἀ-” privativo + “χείρ” = mano + “ποιείν” = fare, produrre), significa “non fatto da mano (umana)”.

Lo stesso aggettivo acheiropóietos serve a sottolineare l’alterità sovrana di Dio e della sua potenza e al tempo stesso la penetrazione trasformante della dimensione divina nell’umano fragile e caduco, in un dono permanente di questo amore. La pittura è coincidenza di fenomeno e noumeno secondo l’arte bizantina. Il visibile si trova dinanzi ad un altro visibile. Possiamo dire che esiste in fondo il noumeno o non è piuttosto il fenomeno stesso? Il noumeno è invece la verità che si cela dietro il fenomeno, secondo la cyberfilosofia. Le immagini acheiropoiete, sono quelle che la mano non ha neppure sfiorato e l’occhio lascia trascorrere via volentieri alla propria stessa origine. Perché l’occhio tocca la cosa stessa, o come direbbe Derrida gli occhi mettono a fuoco gli oggetti ma anche J.Lacan quando parla della “vision et le renard”


L’icone archeiropoietos, non è una conduttività della luce, ma una chiamata alla relazione o anche il suo “folle amore” per chi lo riceve secondo il filosofo e teologo Gregorio Palamas. E funziona come “d’improvviso”. Diventa cioè vocazione erotica a partecipare all’alterità personale, unicità ma anche dissomiglianza. Non diventa però un’attrazione opera con i termini del desiderio naturale, ma rimane un’attrazione non sottomessa alle predeterminazioni e alle necessità della natura.

Note:

[1] Robin Cormack. Byzantine Art. Ed. Oxford University Press, 2008, p, 128

[2] Lo stesso, p, 76

[3] Euritmia: È un termine che deriva dal greco composto da due elementi, il dittongo “eu” che significa buono e la parola ritmo cioè tempo. L’euritmia si riferisce alla successione armonica di manifestazione di vita. Significa anche giusta vita che vuole ricondurre il ritmo della natura e dell’universo.

APOSTOLOS APOSTOLOU

Apostolos Apostolou ha insegnato filosofia all’Università di Scienze Sociali e Politiche, “Panteion”, l’Università “Panteion” è tra le tre più antiche Università di scienze politiche in Europa, anche ha insegnato teoria dell’arte in Art –Act. Visiting professor all’ Università di Padova. Scrittore.

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